Sinai, 31 ottobre 2015: cade un airbus russo, tutti morti. I governi de Il Cairo e di Mosca
smentiscono l'ipotesi dell'attentato, in una regione, come quella del Sinai, in cui
da anni l'esercito regolare combatte i terroristi, oggi legati al gruppo dell'ISIS.
E' la fine della guerra totale? Oggi la guerra ha cambiato
volto, ma mantiene la stessa
cruda spietatezza. Non vediamo ufficiali brandire una sciabola da duecento anni o poco meno, e tra meno di dieci anni, probabilmente,
non vedremo neanche più un carro armato. Perchè?
La guerra campale, quella intesa come "scontro tra due eserciti con interessi diversi",
sta morendo. Volge al termine l'epoca della cosiddetta "Guerra totale", la guerra che prevede l'annientamento totale (e quindi un
annichilimento fisico, morale, economico, strategico) a favore di uno o dell'altro schieramento, il quale, nel dopoguerra, impone il suo modo di vivere, la sua cultura, la sua mentalità. Oggi
diamo il benvenuto alla "Guerra fantasma", in cui non si combatte una nazione, ma un movimento fanatico; non si ha un
casus belli, ma
la guerra stessa è il
casus belli; non ci si scontra faccia a faccia, ma
si logora lentamente il nemico, con atti di terrorismo, abbattendolo
psicologicamente, scuotendolo di nascosto, colpendo
la base di una nazione, il popolo. Lo stesso popolo che
nel 2001 pianse
quasi 3000 morti, che l'anno scorso si inorridì alla visione del pilota giordano
arso vivo in diretta streaming (con una spettacolarità dei movimenti a dir poco scenografici) e che ora si ritrova a piangere circa 270 morti, non negli Stati Uniti, ma
in Russia. Quella Russia che forniva armi, addestratori, missili, veicoli, munizioni, tute a chi doveva mettere fuori gioco gli Stati Uniti e Israele, l'unico baluardo di "occidentalismo" in Medio Oriente.
E' una
guerra sleale, che non guarda in faccia agli alleati nè tanto meno agli avversari, in cui gli schieramenti
mutano continuamente, senza capire chi sta con chi e contro chi combatte. E questo nemico comune, chiamato per convenienza ISIS (o
Islamic State of Iraq and Syria, che dir si voglia), scuote le coscienze di praticamente tutto il mondo che conta: Stati Uniti, Unione Europea e Israele in primis, poi anche il mondo arabo, che trova in Egitto e Arabia Saudita i suoi leader,
e la Cina. Già,
la Cina. Starà a guardare, in attesa di una decisione finale? Affidandosi alla ciclicità della storia (i famosi "corsi e ricorsi storici", ricordati da chissà quale storiografo), si potrebbe ipotizzare che se la Cina si schierasse contro l'ISIS avremmo una situazione
analoga a quella dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale, e cioè con il solo scopo di impegnare il nemico da più fronti.
Ma questa guerra non è co
me le altre.
E' molto più difficile. Riuscire ad imporre di nuovo col pugno di ferro l'ordine precedente non è semplice. Qui non si combatte un esercito, ma
un intero popolo che si riconosce nell'unico grande credo sunnita, un popolo fiero che vuole far sentire la sua voce ed
è stanco di essere un servo della "Puttana" (come viene chiamato l'Occidente). Tempo fa, su Vice, vidi un
reportage in Pakistan su come i talebani riescono ad arruolare nuove reclute, ed il meccanismo è piuttosto banale.
Immaginate di vivere
semplicemente (molto difficile per alcuni di noi, poterlo immaginare) con una vita semplice, una famiglia con tre mogli e una decina di bambini, tutti dediti alla pastorizia, che vivono in una casa costruita
con le proprie mani. Ora, mentre voi siete a pascolare le vostre belle pecore, passa silenziosamente
un drone (quegli aeroplanini senza pilota, no?) che con un missile distrugge
in pochi secondi la vostra ragione di vivere: la casa, la famiglia, le pecore.
Siete completamente soli. Eloquente è la risposta di un talebano alla domanda del reposter "
Ma perchè vi arruolate?", lui risponde "
Secondo te la chiami vita, la nostra?".
Combattere
contro un popolo è diverso che combattere
contro un esercito. Un popolo arrabbiato, deciso, affamato, non ha
nulla da perdere e tutto da guadagnare, tanto vale provarci,
puoi solo morire. La morale di tutta questa storiella è che siamo
noi stessi i mandanti di questa strage, con il nostro modo di vivere, con la nostra condotta, con il rispetto che non abbiamo portato nei confronti di chi prima era alleato, e ora ci volge le spalle, sperando di prendere una rivincita quando le volgeremo anche noi.
Buona giornata di Ognissanti.
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